Quattro passi fra le emozioni: il senso di colpa

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Quattro passi fra le emozioni: il senso di colpa

Prima o poi tutti facciamo i conti con il senso di colpa. Molti lo ritengono qualcosa di cui liberarsi, altri un’emozione fondamentale per la vita sociale. In realtà, entrambe le posizioni colgono aspetti importanti che vale la pena approfondire.

Senso di colpa: descrizione e funzioni

C’è da chiedersi, innanzitutto, cos’è il senso di colpa (SDC). E’ un’emozione che rientra tra le cosiddette emozioni secondarie, definite anche auto-consapevoli o auto-riflessive in quanto presuppongono nell’individuo lo sviluppo di un’identità e la capacità di riflettere sul proprio operato in relazione a norme culturali; tali emozioni si svilupperebbero intorno ai 18 mesi per poi completare il loro pieno sviluppo intorno ai 3 anni (Giusti, 2011). Darwin sosteneva che le emozioni ci comunicano che abbiamo un problema che richiede attenzione e risposta (Darwin, 1872). Pertanto le emozioni hanno una funzione adattiva: facilitano la presa di decisione, offrono informazioni sull’ambiente o su di sé, comunicano all’altro le nostre intenzioni o bisogni, aiutano ad individuare un pericolo, ci preparano all’azione e così via. Quali, dunque, le funzioni adattive del SDC. Vediamone alcune:

  • induce a rispettare regole esistenti e a non nuocere agli altri.
  • accresce il senso di responsabilità.
  • aiuta a percepire la sofferenza dell’altro.
  • spinge a rimediare ad un comportamento ingiusto elicitando l’azione riparatrice.
  • stimola una riflessione sulla libertà individuale e i suoi limiti.
  • favorisce la crescita morale.

Dal senso di colpa (SDC) al complesso di colpa (CDC)

In accordo con Neuburger (Neuburger, 2011), credo sia più utile parlare di “complesso di colpa” quando ci riferiamo al SDC disfunzionale. L’autore distingue tra:

  • Colpa: stato legato ad un atto di cui l’autore si giudica responsabile
  • Senso di colpa: quello che si prova quando un soggetto ha trasgredito ad una regola stabilita (morale, religiosa, sociale, familiare o personale)
  • Complesso di colpa: sentimento irrazionale, senza causa apparente, di essere colpevoli.
    Nasce da un’errata valutazione della situazione o di sé.

Possiamo parlare di SDC “sano” quando ci riferiamo ad uno stato emotivo temporaneo ed appropriato al contesto che stimola a mettere in atto comportamenti riparativi o ad evitarne di distruttivi, mentre il SDC “patologico” coinciderebbe con il complesso di colpa (CDC).

Superare il CDC patologico

Quali gli “antidoti” al CDC?

      • Riconoscere i propri diritti e la responsabilità delle proprie emozioni a sé e agli altri;
      • Rinunciare al ruolo di Vittima;
      • Riconoscere agli altri il libero arbitrio e la capacità di decidere e scegliere;

Facile a dirsi, difficile a farsi. Perché? Per sconfiggere il CDC bisogna rinunciare al senso inconsapevole di onnipotenza. Colpevolizzarci significa riscrivere il passato interpretando il ruolo principale. Dandoci l’impressione di poter controllare ciò che accade, il CDC ci rassicura (Thalmann, 2011). E’ una nostalgia narcisistica del passato in cui il bambino godeva, nella sua fantasia, gli attributi dell’onnipotenza (Sovernigo, 2000). In altre parole tocca convincerci che il mondo non gira attorno a noi! C’è inoltre un’idea, rinforzata dalla società, per cui “gli altri ci fanno sentire” in un certo modo e viceversa. In realtà, di fronte ad uno stesso stimolo, possiamo avere reazioni diverse. Ad esempio, di tre alunni rimproverati dall’insegnante uno potrebbe pensare: “Non ho fatto niente! E’ ingiusto che mi tratti così!” ed arrabbiarsi; un altro: “se mi sgrida è perché ho commesso un errore, quindi non valgo niente” e rattristarsi; un altro ancora: “è colpa mia se l’insegnante si è arrabbiato, ho commesso un azione riprovevole” e sentirsi in colpa. Una cosa è poter contribuire allo stato emotivo dell’altro fornendo un particolare stimolo, altra cosa è determinarlo direttamente.
Infine, colpevolizzarsi oltre modo può avere alcuni vantaggi secondari, come quello di attirare l’attenzione di persone per noi significative o di illuderci, seguendo una sorta di pensiero magico infantile, che rimproverarsi duramente possa evitare che altri lo facciano al posto nostro.

Conclusioni

Alla luce di quanto detto, sembrerebbe proprio una buona mossa rinunciare a sentirsi come Atlante e scrollarsi il peso del mondo dalle nostre spalle, riconoscendoci la giusta quota di responsabilità personale lasciando agli altri la propria.

BIBLIOGRAFIA
Darwin C. (1872), “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”,Torino, Boringhieri (trad.it. 1982)
Giusti E., Bucciarelli R., (2011),“Terapia del senso di colpa. Oltre la malinconica autopersecuzione”, Roma, Sovera.
Greenberger D., Padesky C.A., (1995), “Penso, dunque mi sento meglio. Esercizi cognitivi per problemi di ansia, depressione, colpa, vergogna e rabbia”,Trento, Erickson (trad.it. 2015)
Neuburger R., (2011), “L’arte di colpevolizzare”, Roma, Di Renzo.
Oliverio Ferraris A., (2007), “Psicologia della paura”, Torino, Bollati Boringhieri.
Sovernigo G., (2000), “Senso di colpa, peccato e confessione”, Bologna, Edizioni Devoniane.
Thalmann Y. A., (2011), “Quaderni d’esercizi per liberarsi dai sensi di colpa”, Milano, Vallardi (trad.it. 2012)



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