Che rabbia! Imparare a conoscerla per utilizzarla al meglio

 

gestione rabbia

La rabbia, contrariamente a quanto si pensi, non è un’emozione nociva. Quanto meno, non sempre. Imparare a riconoscere la “rabbia sana” da quella “nociva” è il primo passo per utilizzarla in modo efficace.

Cos’è la rabbia

La rabbia, al pari delle altre emozioni di base (Ekman, 2008), nella teoria evoluzionistica è considerata un processo adattivo. Che significa? Ci informa su un nostro bisogno e stimola un comportamento utile al soddisfacimento dello stesso (Leahy et all. 2011). Possiamo immaginare la rabbia come una spia sul cruscotto della nostra auto. Quando si accende è importante fermarsi e capire cosa segnala, piuttosto che ignorarla e continuare la marcia. Possiamo scegliere di ignorarla, sopprimerla (magari perché “non sta bene arrabbiarsi…”), sostituirla con un’altra emozione, agirla con comportamenti violenti o…ascoltarla.

Rabbia nociva e rabbia sana

A quanto pare, dunque, non è tanto la rabbia a costituire un problema bensì l’uso che ne facciamo. Come distinguere, allora, una rabbia sana da una nociva? La differenza fra le due è sia di tipo qualitativo che quantitativo. Di Pietro (2015) suggerisce di considerare 4 aspetti delle emozioni:

  • Fenomenologico. Come l’emozione fa sentire. Le emozioni sane, per quanto intense, non vengono vissute come “penose” o strazianti.
  • Fisiologico. Riguarda l’attivazione neurovegetativa (arousal). Quelle nocive sono intense e con attività prolungata. Sono, inoltre, quelle che sperimentiamo con più frequenza.
  • Sociale. Le emozioni hanno una dimensione interpersonale. Comunicano un messaggio all’altro. Un’ emozione nociva ha più probabilità di attirare punizioni o allontanare gli altri.
  • Comportamentale. Si riferisce alle azioni connesse all’emozione. Quelle nocive hanno comportamenti controproducenti che ostacolano la risoluzione dei problemi.

Tra questi aspetti, solo quello fisiologico è di tipo quantitativo. Pertanto, quando sperimentiamo una rabbia sana la viviamo come spiacevole, ma non devastante (aspetto fenomenologico), ha una durata limitata nel tempo (non continuiamo ad alimentarla rimuginando sull’evento) e non sentiamo che ci sta travolgendo essendo troppo intensa (aspetto fisiologico). Inoltre, è funzionale alla risoluzione del problema per cui si attiva (aspetto comportamentale) e sul lungo periodo non compromette i nostri rapporti personali (aspetto sociale).

3 miti sulla gestione della rabbia

Ci sono alcuni falsi miti sulla gestione della rabbia (Ellis, 2000):

  • Mito n°1: esprimere attivamente la rabbia aiuta a ridurla. Questo mito è legato al cosiddetto “modello idraulico” delle emozioni secondo il quale con il tempo la rabbia si accumula creando un serbatoio di energia negativa. Se non la si sfoga, alla fine si avranno disturbi emotivi. Tutto questo ha portato, soprattutto negli anni 70, ad una serie di interventi (come ad esempio colpire dei cuscini) per placarla. In realtà, agire la rabbia senza coglierne il significato, può essere controproducente. Tuttavia, è anche vero che ci si sente bene dopo averla sfogata. Perché? Semplicemente perché la rabbia prepara il corpo all’azione e il corpo è carico e pronto a lanciarsi in una qualche tipo di azione. Pertanto, lasciarsi andare ad un attacco è il suo sbocco naturale. Si avrà indubbiamente un vantaggio nel breve periodo, ma sul lungo periodo potrebbe non bastare.
  • Mito n°2: meglio sopprimere la rabbia. Se è vero che scaricarla senza darle un significato può non aiutare, anche sopprimerla o cercare di “non sentirla” può essere controproducente. Infatti, trattenerla quando invece sarebbe opportuno esprimerla, rischia di trasformarci in una sorta di pentola a pressione che aspetta solo il momento giusto per esplodere…Eric Berne (1964), a tale proposito, parlava di “bollini premio”. Così come nei supermercati si ottiene un premio finale raccogliendo punti dai prodotti, allo stesso modo possiamo raccogliere “bollini rabbia” per poi utilizzarli per ottenere in premio la nostra sfuriata di rabbia. Magari con il primo che capita…
  • Mito n°3: sono gli eventi esterni a farci arrabbiare. Nella nostra cultura, siamo abituati sin da piccoli ad un linguaggio deresponsabilizzante. Frasi tipo sono: “tu mi fai arrabbiare!”, “guarda cosa mi hai fatto fare!” ecc. In realtà, siamo noi responsabili dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e dei nostri comportamenti anche se il senso comune, ci porta a credere diversamente.

Conclusioni

Alla luce di quanto detto, imparare a dialogare con la nostra rabbia non è semplice e richiede tempo, impegno ed energia oltre ad una disponibilità a mettere in discussione alcune radicate convinzioni. Alla fine, però, il gioco varrà la candela e potremmo arricchire la nostra esperienza di vita con una compagna di viaggio in più.

BIBLIOGRAFIA

Berne, E. (1964), Trading stamps, TAB, 3, 10, p.127

Di Pietro M., (2015), “La terapia razionale emotiva comportamentale. Guida pratica per il professionista”, Trento, Edizioni Erickson.

Ekman, P. (2008). “Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste”, Torino, Amrita.

Ellis A., Tafrate R.C. (2000), “Che rabbia! Come controllarla prima che lei controlli te”, Trento, Edizioni Erickson (tra.it.2015).

Leahy R. L., Tirch D., Napolitano L.A. (2011), “La regolazione delle emozioni in psicoterapia. Guida pratica per il professionista”, Firenze, Eclispi, (trad.it.2013)

Rosenberg M.B. (1998), “Le parole sono finestra (oppure muri)”, Reggio Emilia, Esserci Edizioni (trad.it. 2003)



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