#IORESTOACASA: quando “sacrificarsi” non è possibile

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Indubbiamente attraversiamo un momento difficile. Il COVID-19 ci ha ricordato prepotentemente quanto illusorie siano molte delle nostre certezze e la nostra convinzione di poter tenere tutto sotto controllo. Lo Stato si mobilita, la società civile si mobilita (#iorestoacasa). E anche noi psicologi facciamo la nostra parte: offriamo supporto on-line per chi non può uscire di casa. Si fa appello alla responsabilità di ognuno invitando la gente a restare a casa. E fin qui nulla da eccepire. Quello che un pò mi stona è la richiesta alla popolazione di “sacrificarsi” restando a casa. Ma siamo sicuri che restare a casa sia davvero un sacrificio? E chi non può “sacrificarsi”? Chi una casa non ce l’ha?

Le parole hanno un peso

Le Bon, nel suo pionieristico studio sulla psicologia delle folle, scriveva: ”Napoleone asseriva che esiste una sola figura retorica: la ripetizione. La cosa affermata riesce così a stabilirsi negli spiriti a tal punto, da essere accettata come una verità assoluta ampiamente sviluppata” (Le Bon, 1895, p. 95). Ma non è che continuando a ripeterci che ci stiamo sacrificando restando a casa, iniziamo a crederci? E non mi riferisco a chi, restando a casa e non potendo lavorare soffre dell’inevitabile e difficile ricaduta economica da gestire. O a chi ha effettivi problemi nel rimanere chiuso all’interno delle mura domestiche. Penso, ad esempio, alle donne vittime di violenza, costrette a rimanere in casa con il proprio aguzzino. Mi riferisco allo stare a casa in sé: non poter uscire a fare una passeggiata o rinunciare alle proprie attività ricreative e sociali. Le parole hanno un peso. Una delle definizioni riportate nel vocabolario della Treccani alla voce “sacrificio” riporta: “grave privazione o rinuncia, volontaria o imposta, a beni e necessità elementari, materiali o morali”. Posta questa definizione, se noi ci stiamo sacrificando, cosa stanno facendo, in questo periodo, le Persone senza dimora? Non sono forse loro quelle che vivono una grave privazione di necessità elementari e materiali?

Il sacrificio delle Persone senza dimora

Secondo gli ultimi dati ISTAT in Italia sono 50.724 le Persone senza dimora stimate nel 2015. Insomma, in Italia c’è una larga fetta di Persone che non può restare a casa perché una casa non ce l’ha. Le Forze dell’Ordine intercettano le Persone senza dimora e le invitano, giustamente, a restare a casa. E posso assicurarvi che vorrebbero tanto “sacrificarsi” restando a casa, soprattutto in un periodo come questo. Perché questo mondo lo conosco da circa 15 anni. Ma per loro non è possibile. Persone senza dimora più comunemente definite homeless, clochard, barboni, etichette che veicolano immagini, talvolta eccessivamente edulcorate, altre volte fin troppo allarmistiche, di una complessa fenomenologia fatta di sofferenza, disagio, delinquenza, violenza, follia, ma anche di creatività, amore, simpatia, dolcezza, più da vivere che da leggere per essere pienamente compresa.

Forse non ci stiamo sacrificando troppo

Albert Ellis guidava i suoi pazienti verso l’ accettazione della frustrazione: non sdrammatizzare la realtà o negarla, ma rafforzare la nostra tolleranza alla frustrazione. In che senso? Riformulare, in termini di sopportabilità, l’esperienza negativa. In altre parole, passare dall’intollerabile al faticoso, ma sopportabile. Trasformare l’etichetta da “evento catastrofico insopportabile” in “evento negativo, ma sopportabile” (Ruggiero, Sassaroli, 2013). Alla luce di quanto detto, forse potrebbe aiutarci relativizzare il nostro “sacrificio” per alleggerirlo un po’ di modo da affrontare con più serenità una reclusione che comporta sicuramente rinunce e difficoltà, ma che forse non è così terribile come la definiamo.

BIBLIOGRAFIA

Ellis, A. (1962), “Ragione ed emozione in psicoterapia”, Roma, Astrolabio, (trad.it. 1989).

Le Bon, G. (1895), “Psicologia delle folle”, Massa, Ed. Clandestine, (trad.it. 2014).

Ruggiero G.M., Sassaroli S. (2013), “Il colloquio in psicoterapia cognitiva. Tecnica e pratica clinica“, Milano, Cortina.



4 Comments to "#IORESTOACASA: quando “sacrificarsi” non è possibile"

  1. Domitilla Spallazzi
    25 Marzo 2020 at 9:04

    Un breve scritto per una riflessione profonda!

  2. Pietro Ielpo
    25 Marzo 2020 at 10:37

    Ciao Domitilla!
    Mi fa piacere ti sia piaciuto e ti ringrazio per le belle parole 🙂

  3. Dorota112
    23 Aprile 2020 at 13:58

    Complimenti. Il tuo articolo parlerà sicuramente a persone che non vedono altro che la punta del naso. Al giorno d’oggi, potrebbe usare più empatia e comprensione per gli altri, specialmente per quelli per i quali il destino non risparmia dolore, sia quelli a casa con il torturatore che quelli per i quali la propria casa è l’apice dei sogni.

  4. Pietro Ielpo
    23 Aprile 2020 at 15:53

    Ciao Dorota e grazie per il commento. 🙂
    Credo che relativizzare i punti di vista, in alcuni casi, possa aiutarci a ridimensionare i problemi. Se è vero che ognuno è chiamato a vivere le sue difficoltà all’interno della propria “nicchia ecologica”, è anche vero che un salto fuori da essa potrebbe tornarci utile 😉

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